L’area archeologica rupestre del complesso monastico di Sant’Elia lo Speleota (l’abitatore delle grotte), oggi restaurata e attrezzata per le visite, è una bella testimonianza del monachesimo medievale, della grecità bizantina e di quella vita in grotta che caratterizza numerosi insediamenti nelle pieghe della Calabria ionica e tirrenica.
Al ritorno da Patrasso Elia, insieme ai monaci Cosma e Vitale, si ritira a condurre vita di penitenza nella grotta di Melicuccà. Qui, ben presto, gli abitanti dei paesi vicini, attratti dalla sua fama di santità, vengono a visitarlo, ascoltarlo, a ricevere da lui conforto e incoraggiamento. L’11 settembre del 960, quasi centenario, Elia muore e viene sepolto nel sepolcro da lui stesso scavato nella grotta. Lì il suo corpo rimane sepolto fino al 2 agosto 1747 data di scoperta e ricognizione delle sue ossa.
Elemento centrale della visita all’area rupestre è la grotta principale del complesso che ha sempre funzionato come chiesa del vicino cenobio basiliano, costruito sulla rupe vicina, in spettacolare posizione panoramica, e rimasto attivo fino al Settecento. Oggi la chiesa-grotta è il principale luogo di culto del Santo e ospita ancora un’episodica vita liturgica. Caratteristico è il continuo gocciolio dalla volta, raccolto da un’acquasantiera, che ha preso il nome di ‘acqua del santo’.
Prossime alla chiesa sono due grotte che ospitano una sorta di fattoria rupestre utilizzata dai monaci. La prima è dotata di un palmento seicentesco, erede della lunga tradizione di produzione vinicola che risale già al decimo secolo. La vasca per la spremitura dell’uva ha una forma allungata ed è rivestita di malta cementizia. Da un ugello sul fondo il mosto defluiva nella seconda vasca, posta più in basso e destinata alla decantazione e alla fermentazione.
La seconda grotta contiene un grande silos per la conservazione dei cereali, a profilo ovoide, doppio, scavato nella roccia del piano pavimentale.
Una curiosità. La zona archeologica confina con il percorso della ferrovia a scartamento ridotto Gioia Tauro – Palmi – Sinopoli.
Un tratto di binario e una galleria sotto la rupe del monastero valgono a ricordare quel tratto interno delle Ferrovie Calabro-Lucane, dismesso definitivamente nel 2011, che collegava a Gioia le stazioni di Melicuccà, Valli, Sant’Eufemia d’Aspromonte e Sinopoli – San Procopio.
Le indagini archeologiche della Soprintendenza calabrese hanno anche messo in luce un’area cimiteriale con undici tombe a fossa di forma antropomorfa e di età bassomedievale scavate nel banco roccioso. Il cimitero messo in luce nel 2005 nasce e si organizza intorno alla tomba di un personaggio importante della comunità monastica, isolata all’estremità del terrazzo e sormontata da un piccolo monumento funerario.