venerdì 21 giugno 2019

ROGHUDI, LA ROCCA DEL GRAGO E LE CALDAIE DEL LATTE

 Roghudi Vecchio, abitata sin dal 1050 e facente parte di un'area grecanica, fu dichiarata totalmente inagibile a seguito delle due fortissime alluvioni avvenute nell'ottobre 1971 e nel gennaio 1973. La popolazione di Roghudi fu distribuita nei paesi limitrofi. Dopo diciotto anni, nel 1988, nasce la nuova Roghudi in prossimità della costa ionica alla periferia occidentale di Melito di Porto Salvo.
Secondo una leggenda a Roghudi esistevano le Naràde, o Anaràde, che erano delle donne dalle sembianze metà umane con zoccoli di asina che vivevano nella contrada di Ghalipò, prospiciente Roghudi. Di giorno, rimanevano nascoste tra le rupi; di notte, cercavano di attirare con ogni stratagemma, come la trasformazione della voce, le donne del luogo con l'intento di ucciderle, al fine di sedurre gli uomini del paese. Per proteggersi dalle loro irruzioni vennero costruiti tre cancelli, collocati in tre differenti entrate del paese: uno a “Plachi”, uno a “Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea
Il toponimo, come altri in Calabria, potrebbe derivare da lingue del Medio Oriente, portate nell'estrema penisola italiana durante il 3° millennio. Roghudi avrebbe la sua radice nell'Amarico ruha (respiro, vento) seguita da un suffisso indicativo di località (-adi). "Ruhadi", descrittivo di un luogo molto ventoso, come è in realtà


LA ROCCA DEL DRAGO
La leggenda narra che la Rocca fosse la dimora, appunto, di un drago, custode di un tesoro, che passava il tempo a terrorizzare gli abitanti della zona: ogni volta che aveva fame se la gente non lo accontentava, dava ordine di portare i bambini al suo cospetto per poi divorarli! Poco più avanti, ovviamente, le Caldaie del latte fungevano da serbatoi da dove gli abitanti prelevavano il nutrimento da offrire al mostro affinché smettesse di cibarsi dei fanciulli e di agitarsi causando veri e propri disastri. Difatti, secondo un’altra versione, il drago quando era nervoso scuoteva, con i suoi movimenti, la terra provocando frane e alluvioni.
Fu l’intervento di un frate di un convento vicino a tenerlo buono per un periodo. Ogni giorno egli si recava dal drago e lo distraeva con una conversazione lasciando così tranquilla la gente del luogo. Ma quando il frate morì il drago tornò alle sue vecchie abitudini. E gli abitanti piagati dalla violenza e dai continui smottamenti abbandonarono il paese. Si narra che il drago sia ancora lì, nella sua minacciosa Rocca, che guarda bramoso le vicine caldaie senza poterle raggiungere ed è sempre più triste perché non ha nessuno con cui parlare.