domenica 7 maggio 2023

ROCCA IMPERIALE


Unica via di comunicazione tra le Puglie e la Calabria, sul versante ionico, era, ancora nel 1200, la via costiera ionica citata dalla Tabula Peutingeriana che, partendo da Reggio Calabria e costeggiando il mare, andava a congiungersi a Brindisi con l'Appia che proveniva da Capua.

D'altra parte la Calabria era allora parte integrante della Sicilia, e se i baroni siciliani, sempre contrari alla monarchia per le limitazioni imposte alle loro prerogative, si fossero ribellati, attraverso questa arteria stradale avrebbero potuto tentare l'invasione del resto dello Stato. Appare dunque evidente l'importanza militare del luogo e Federico II volle erigervi un castello che al fine principale difensivo unisse il compito di dare asilo alla Corte negli spostamenti e nelle partite venatorie alle quali il territorio era adattissimo.

L'intensa e frenetica attività edificatoria messa in atto in quel ventennio da Federico II suscitò preoccupazione tali che il giustiziere Tomaso De Gaeta, in una lettera indirizzata all'Imperatore, non poté risparmiargli un rimprovero: "È vero che l'imperatore non deve fidarsi così tanto della pace da non prepararsi alla guerra, ma non è necessario che Vostra Maestà costruisca fortezze così in alto, fortifichi le cime di ripide colline, sbarri i pendii dei monti con mura e li circondi di torri: anche senza fortificazioni la salvezza del re sarà assicurata dalle opere benefiche e dalla mitezza" (Kehr, 1905, pp. 55 s.).

Lo STATUTUM DE REPARATIONE CASTRORUM, il cosiddetto 'Statuto sulla riparazione dei castelli', costituisce l'accertamento giuridico delle comunità e delle signorie feudali ed enti ecclesiastici, secondo le consuetudini, che dovevano provvedere alla riparazione e manutenzione di quei castelli, domus regie e centri abitati. Nel caso della "Rocca Imperiialis" l'imperatore stabilì che ben ventisette località dovevano provvedere a inviare uomini e mezzi: 1 Nocara, 2 Canna, 3 Anglona, 4 Tursi, 5 Favale, 6 Presinace, (8 Rodiani) 9 Senise, 10 Chiaromonte, (11 Rubi) 12 Episcopia, 13 Battifarano, (14 Noge) 15 Castronuovo, 16 Colobraro, 17 Agromonte, 18 Latronico, (19 Solucii) 20 Santa Anania, 21 Armentano, 22 San Quirico, 23 Valsinni, 24 Castelsaraceno, 25 Farace, (26 Tigani) (x) (27 Pulsandrane). (in parentesi le incerte o sconosciute) Come si può osservare esse sono collocate in un fascio che si allarga a ventaglio in una sola direzione, che si estende a molti chilometri in linea d'aria (venti e oltre), distanza che sul terreno doveva aumentare notevolmente, superando dislivelli e attraversando fiumi. La spiegazione di questo fenomeno va senz'altro individuata attraverso una serie di ricerche sistematiche, per quanto i documenti lo consentano, sull'intersecarsi e sovrapporsi di terre e di diritti demaniali e feudali". Si ritenga comunque che queste scelte possano essere dovute anche a una "logica politica", cioè alla volontà, da parte di Federico II, di "evitare che una struttura castellare, con la sua guarnigione e il suo castellano, potesse raccordarsi troppo strettamente alle comunità di quel territorio, sino a diventare pericoloso centro di aggregazione di interessi comuni".

Poiché gli apprestamenti necessari a una grande opera in muratura non si improvvisano, sull'altura che dinanzi era brulla o macchinosa, l'Imperatore, molto tempo prima dell'inizio dei lavori architettonici, dovette inviare operai per i movimenti di terra e la cottura della calce; i quali operai si stabilirono “in situ” formando così il primo nucleo del nuovo abitato. Essi stessi, e i villici poi, cominciarono a distinguere il luogo con l'appellativo dialettale di Ri-carcari o Li-carcari, che fu presto dimenticato e sostituito, e castello ultimato, con nome di Rocca Imperiale.

Il termine Ri-carcari, esaminato alla luce della fonetica locale, è un chiaro nome composto da Ri + carcari o Li + carcari equivalente a “Le fornaci”, le quali dovettero essere in gran numero apprestate per la calce e i mattoni prima di iniziare la costruzione della fortezza.

Il villaggio, formato dagli operai e da pochi altri individui che erano andati a porvi dimora con la famiglia per la sicurezza, dopo oltre due lustri era ancora insignificante, per cui Federico II, che da principio non aveva inteso dar vita a un nuovo incolato, decise di inviarvi una colonia nel 1239.

Sebbene manchino attestazioni probatorie esplicite, la nascita di Rocca, paese e castello, deve quindi attribuirsi a Federico II di Svevia e fra gli antenati degli odierni Rocchesi sono da annoverare degli abitatori medievali della cittadina (a Sud-Ovest) di Castrovillari, con la quale conservano tuttora una stretta parentela linguistica. Rocca







La prima chiesa di Rocca Imperiale sorse, come attesta il campanile, col nascere dell'abitato, al tempo dell'imperatore Federico II di Svevia nel secolo XIII (1239). Piccola, di stile romanico puro, l'ingresso principale a nord e uno secondario sul lato opposto, occupava l'area dell'attuale sagrato ed aveva a destra la sagrestia. Davanti era uno spiazzo o una larga via da cui erano visibili le grandi incisioni paleografiche sotto la cornice apicale della torre campanaria, e nell'interno forse una sola navata e nudo era il presbiterio con l'altare maggiore. Loculi tombali dei sacerdoti e delle principali famiglie si aprivano sul pavimento e una cripta più giù, probabilmente in comune con quella dell'ospedale eretto dai Cavalieri Gerosolimitani nel secolo XIII, serviva per le deposizioni dei fedeli, che in caso di epidemie venivano sepolti attorno al tempio. Questo era dedicato, come lo è tuttora la parrocchia, a Santa Maria in Cielo Assunta e fu arricchito nei primi anni del Trecento di un protiro a soggetta su archi ad ogiva, di bifore a colonne tortili di marmo, ora deposte nel giardino Gavazzi, di un ampio rosone, di una statua, la cui testa è murata all'angolo del corso Vittorio Emanuele, di fronte alla casa Fortunato, e di affreschi, i resti dei quali si notano sotto un archetto del protiro attualmente incorporato nel pronao della nuova Chiesa. Il 30 giugno del 1644 la chiesa venne incendiata dai Turchi, sbarcati per conquistare la città,ma poi venne ristrutturata. Dal 2 luglio successivo si porta l'icona della Madonna della Nova in processione dalla Chiesa Madre alla sua chiesa, il Santuario in Cesine. All'ottava di Pasqua, si riporta in Chiesa Madre. Il 30 marzo del 1691 dal crocifisso della chiesa, sgorgò sangue e acqua. Nel XVIII secolo, la chiesa fu ristrutturata dal Duca Crivelli che la ampliò e la rese un monumento di bellezza storica e artistica. Tutt'oggi, infatti, la chiesa è visitata da turisti e gente di passaggio.


































Si possono individuare tre fasi nella costruzione del castello di Rocca Imperiale.

Il castello originario, databile al XIII secolo, era probabilmente di dimensioni molto più modeste rispetto a quelle attuali. La fondazione è attribuita a Federico II di Svevia, dal quale prende nome l’abitato di Rocca Imperiale, il quale avrebbe fatto costruire il castello come tanti altri per rafforzare il suo potere sul territorio ma anche come sosta nei suoi ripetuti viaggi da e per la Sicilia, .

Della struttura originaria restano poche tracce: una torre avente sezione costante,[1] il portale d'ingresso, una finestra ogivale di arenaria che dà sulla costa scoscesa a ovest e alcune feritoie. Non risultano tentativi passati di ricerche per individuarne il nucleo originale che probabilmente era molto più piccolo con una sola torre quadrata al centro.

Le dimensioni e molto dell’aspetto attuale derivano invece dal grande ampliamento e rafforzamento fatto nel 1487 da Alfonso II d’Aragona. A questo periodo risalgono il cassero, il maschio poligonale e le diverse torri (precisamente otto, delle quali cinque a pianta circolare). Con la parte a ovest ben protetta dal profondo e praticamente invalicabile burrone, il lavoro dei capi-mastri (gli architetti dell’epoca) Saccomanno di Portanova e Carlo Quaranta di Cava, si concentrò sugli altri lati con la costruzione delle strutture che sono ancora oggi esistenti: un cassero, il maschio centrale, le torri, il muro di cinta con il fossato, profondo otto metri ma poco largo, nonché i due ponti levatoi. L’aggressore che avesse superato le mura esterne del paese e che fosse riuscito a superare anche la cinta muraria del castello, si sarebbe trovato ingabbiato nel fossato, troppo poco largo per poter manovrare ed esposto al tiro impietoso degli assediati. Il progetto dimostrò la sua validità almeno in un caso del quale abbiamo conoscenza: quando nel 1644 (tra il 29 giugno e il 1º luglio) i Turchi assaltarono il paese, molti degli abitanti si salvarono all’interno del castello che non fu espugnato.

All’interno oltre a tutti gli accorgimenti per rendere l'edificio in grado di resistere ad un lungo assedio con ampi depositi di olio e grano e ben cinque cisterne d'acqua, sono presenti scuderiecasematte, sotterranei, corridoi intercomunicanti e trombe per l'aerazione nelle torri. Di almeno una delle gallerie ora interrate si riconosce l’accesso e si dice che ve ne fosse una, ora non rintracciabile, di uscita segreta all'esterno che sbucava a grande distanza nel vallone a est e attraverso la quale gli assediati avrebbero potuto tentare l’estrema fuga.

Vi erano numerosi locali sotterranei uno dei quali adibito a galera e la “sala dei supplizi” così chiamata per la presenza al centro del soffitto di un anello di ferro che si suppone fosse usato per dare i “tratti di corda” ai prigionieri e forse per le impiccagioni.

A tutto questo complesso architettonico erano poi collegate le mura del paese che svolgendosi dal “Murorotto” dove si notano i resti di una torre quattrocentesca, raggiungevano “la Croce” e “l'Ospedale” fino al dirupo di “Scalella”.

Le terze ed ultime modifiche ed aggiunte furono quelle fatte nel 1700 dai duchi Crivelli, ultimi feudatari del borgo di Rocca Imperiale, che vollero fare della fortezza una residenza consona allo stile del tempo e della propria posizione. Sono queste tutte le stanze del piano superiore con finestrature regolari che ben si distinguono dal resto delle precedenti strutture.

Dopo i Crivelli, abolito il feudalesimo, il castello andò incontro ad un progressivo decadimento passando attraverso vari proprietari fino al completo abbandono che lo rese preda di vandalismi e cava di materiale edile di recupero.

Solo negli anni più recenti vari interventi di ristrutturazione, finanziati con fondi pubblici, hanno reso possibile la stabilizzazione della grande struttura ed il suo mantenimento.





























Nel Registrum Ballarum, al numero XIII, troviamo il "diploma" con cui i Frati Minori Francescani dell'Osservanza Regolare della provincia di Basilicata furono autorizzati a costruire in Rocca Imperiale un Monasterium seu Conventum…cum Dormitorio, Refectorio, Officinis, Campana, Campanili, aliusque ad id necessariis (27 giugno 1562). È questa la data in cui fu autorizzata la costruzione del convento; avuta dunque l'autorizzazione, si ritiene che i frati si siano dati subito da fare e abbiano messo mano senza indugi alla fabbrica. Verosimilmente fu costruito dapprima qualche locale per alloggiarvi i frati che dovevano soprintendere all'opera e subito dopo cominciarono i lavori di costruzione della chiesa, che si presume fosse già pronta per il culto, ma non del tutto ultimata, nel 1583 (questa data si legge a piè della colonna che sorregge l'acquasantiera). Contemporaneamente fu costruito anche il convento nelle sue parti essenziali e funzionali.

Il prof. G. Fiore fa riferimento ad una data – 1617 – anticamente leggibile sul portone d'ingresso della chiesa; pertanto è da ritenere che prima della data sopra indicata, si accedesse alla chiesa mediante una porticina provvisoria in attesa del completamento dei lavori.

Ci vollero dunque circa 21 anni perché la chiesa fosse aperta ai fedeli e altri 34 per ultimarla. La cosa non deve sorprendere se si tiene conto che i Frati erano Francescani e per di più Osservanti e che vivevano perciò di questua. Chiunque poi visiti la chiesa constaterà che si tratta non di una delle solite chiesette e cappelle disseminate un po' dappertutto ma di una chiesa delle dimensioni piuttosto notevoli e arricchita di coro, sacrestia e una cupola relativamente grande.

La struttura, che a noi oggi sembra complessa, in realtà non si discosta dal modello classico del'’architettura francescana: come tutti i conventi dell'epoca, era dotata di chiostro con cisterna, porticato, celle, Chiesa. È da notare invece la semplicità delle linee e il tentativo di qualche bravo frate nel rendere bello e artistico qualche dettaglio: le cornici interne ed esterne della cupola, i capitelli dei pilastri della cisterna, ecc. e rilevante è anche il grande impegno e amore, nonché il senso artistico, dell'artista che ha scolpito il portone di ingresso della chiesa arricchendolo di formelle con figure allegoriche.

Per circa 40 anni in seguito alla sua costruzione il convento rimase abbandonato a sé stesso senza un minimo di custodia e il suo deterioramento fu inevitabile, tramutandosi anche in ricovero per pecore. Da qui in seguito le vicissitudini che lo concernano sono numerosissime.
















CHIESA DEL CARMINE