Un fiume – il Savuto – che nasce in Sila, attraversa foreste di pino, faggio, cerro e castagno, diventa torrentizio, prosegue la sua marcia fino a valle, si tuffa nella macchia mediterranea e nelle terre dei pascoli, e dopo un percorso di 55 chilometri sparisce nel mar Tirreno.
Un fiume che molti storici identificano con l’Okinaros, l’Ocinaro che in Licofrone bagna il sepolcro della sirena Ligea; che nel corso dei secoli ha sfamato migliaia e migliaia di famiglie grazie alla fertilità delle sue “macchie” e che oggi si presenta abbandonato e devastato dalla mano dell’uomo.
L’abitato si sviluppa su un’altura a 328 metri s.l.m. ed è sovrastato dalle mura di un castello, appena restaurato (chiuso, impossibile visitarlo). Il primo riferimento storico finora conosciuto risale al 1267, anno in cui il Papa elenca le donazioni a favore dell’Abbazia di Fiumefreddo Bruzio conosciuta col nome di Santa Maria di Fonte Laurato, e tra i possedimenti troviamo la citazione «Petraemalae et Sabbuti».
Nei Registri che misurano la popolazione calabrese del 1276, Petramala (l’odierna Cleto) è presente con 214 abitanti e Savuto con 45 abitanti. Ma è proprio lì, a Savuto, che il re di Napoli fa costruire un castello, nel momento in cui le truppe aragonesi della Sicilia progettano l’invasione della Calabria. L’edificio sorge sulla sponda settentrionale del fiume, e si pone a guardia delle vie di comunicazione che dal mare salgono verso l’interno; vie già percorse dai Saraceni che erano andati ad assalire Martirano.
Attorno al castello crescono le abitazioni, e nel 1571 Gabriele Barrio scrive: «Quindi c’è il castello di Petramala, una volta detta Cleta, fondata da Cleta, nutrice della regina Pentesilea, da ogni parte munita di forti torri, distrutta dai Crotoniati, come Licofrone scrive nella Cassandra […] Non lontano da Petramala sorge la cittaduzza di Sabazio, e si versa nel mare un fiume dello stesso nome, navigabile e pescoso, un tempo detto Ocynarus…».
Quando la Terra di Savuto viene staccata dal feudo di Pietramala e affidata agli Arnone, la nobildonna Eliodora Sambiase, moglie di Ascanio Arnone, Regio Tesoriere di Calabria Citra dal 1555 al 1559, fa incidere su una lastra di marmo un’iscrizione in latino che colloca sulle mura del castello e che lo studioso Rocco Liberti così traduce: « Eliodora Sambiase, già giovane sposa unita al marito Arnone, offre templi a Dio, limpide acque e orti verdeggianti alle ninfe e il castello di Savuto come albergo a chiunque ne abbia bisogno».
Sul finire del Cinquecento, la baronia di Savuto diventa feudo della famiglia d’Aquino, che in Calabria controlla molte terre, fra le quali figurano Martirano e Castiglione Marittimo, e sulle terre coltivate del versante sinistro del fiume è edificato un nuovo villaggio, al quale viene dato il nome di San Mango.
Oggi l’abitato di Savuto è aggregato come frazione al comune di Cleto.
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