lunedì 1 ottobre 2018

CASALNUOVO ( FRAZIONE D' AFRICO VECCHIO) - PARCO DELL'ASPROMONTE

Sorto su di un costone roccioso a destra del torrente Apòscipo, a circa 737 metri sul livello del mare, questo borgo contava, alla fine del secolo XVIII, circa 600 persone (in prevalenza agricoltori e pastori) e faceva parte del feudo dei Carafa di Roccella. Il santo patrono, diverso da quello degli africesi, era San Salvatore. Cronache risalenti al diciottesimo secolo fanno cenno ad una comunità di monaci in Casalnuovo, dapprima professanti il rito greco ma che poi abbandonarono tale rito.









































 























 



















 



























 AFRICO VECCHIO

Si ritiene che il nome del paese derivi dal greco àprichos, άπριχος, o dal latino apricus.
È stata avanzata l'ipotesi che nel luogo siano esistiti insediamenti in epoca precedente o contemporanea alla colonizzazione magnogreca; esistono comunque reperti archeologici di epoca bizantina. Probabilmente già nel decimo secolo erano presenti monaci basiliani. In epoca normanna, fra i secoli XI e XII, visse San Leo, il patrono del paese; secondo la tradizione, egli nacque a Bova e prima di diventare monaco studiò nel convento basiliano della SS. Annunziata di Africo.
Nel 1571 Gabriele Barrio scrive che ad Africo i riti sacri sono celebrati in greco e che la popolazione adopera il greco anche nei rapporti familiari, assieme al latino.
Nel 1783 Africo fu seriamente danneggiata da un forte terremoto che causò sei morti e danni per ottantamila ducati. Alla fine del secolo XVIII aveva circa 800 abitanti e vi si osservava il rito greco. In epoca napoleonica vi si ebbe uno scontro tra francesi e borbonici, in cui gli abitanti parteggiarono per questi ultimi. Nell'Ottocento fu attivo nel territorio il brigante Antonio Zemma. La popolazione di Africo e Casalnuovo ammontava complessivamente a 1726 persone nel 1815; nel 1861 il solo paese di Africo aveva 1276 abitanti; ne ebbe 1781 nel 1911 e 2489 nel 1951. Altri due sismi colpirono il borgo calabrese nel 1905 e nel 1908.
Le condizioni sociali ed igieniche di Africo nel periodo interbellico erano disastrose. Il meridionalista Umberto Zanotti Bianco, coadiuvato dal giovane Manlio Rossi Doria, eseguì un'inchiesta su Africo nella quale riferiva come il paese fosse annidato su case dirute per il pregresso terremoto, isolato geograficamente, afflitto da tasse indiscriminate e da malattie, fosse privo di medico, di aule scolastiche (le lezioni si svolgevano nelle stanza da letto della maestra); gli abitanti si nutrivano di un immangiabile pane fatto con lenticchie e cicerchie.
Il 20 gennaio 1945 la popolazione di Africo assaltò con armi da fuoco e distrusse con bombe a mano la locale caserma dei carabinieri, costringendo i tre o quattro militi presenti a rifugiarsi negli scantinati e liberandoli solo dopo averli disarmati. In questo periodo si costituirono nel paese la sezione del Partito socialista, quella del Partito comunista e la Camera del lavoro.
Nel marzo 1948 il settimanale “L'Europeo” pubblicò un reportage da Africo a firma del giornalista Tommaso Besozzi, corredato da alcune fotografie di Tino Petrelli; tale reportage (che faceva parte di un'ampia inchiesta sulle condizioni del Mezzogiono promossa da Arrigo Benedetti) mostrava come le condizioni del paese non fossero sostanzialmente migliorate rispetto a quelle descritte vent'anni prima da Zanotti Bianco.






















Fra il 14 e il 18 ottobre del 1951 una violenta alluvione devastò Africo e Casalnuovo, causando tre vittime ad Africo e sei a Casalnuovo nonché ingenti danni materiali. Su ordine delle autorità i due paesi semidistrutti furono evacuati; la popolazione fu alloggiata per pochi giorni nelle scuole elementari di Bova, per poi, alla fine di ottobre, essere trasferita a Gambarie e da lì provvisoriamente distribuita in vari altri comuni della provincia (fra i quali Reggio di Calabria, Bova Marina e Palmi; in particolare gli abitanti di Casalnuovo, i quali erano rimasti più a lungo nel loro abitato originario, dopo l'ordine di sgombero furono provvisoriamente alloggiati a Bova Marina e a Bova). Più di mille persone furono allocate in baracche di legno a Reggio di Calabria, in contrada Lazzaretto di Condera, dove in gran parte rimasero fino ai primi anni sessanta. Tutti i rifugiati ricevettero per qualche tempo un sussidio.
Non è chiaro chi sia stato ad avanzare per primo l'idea di trasferire definitivamente la popolazione dei due paesi in un nuovo centro da costruire in località La Quercia di Capo Bruzzano, nel territorio del Comune di Bianco; tale progetto ebbe fin dall'inizio il sostegno del deputato comunista Eugenio Musolino e di alcune autorità di Africo. Il parroco di Africo, Don Giovanni Stilo, fu inizialmente contrario, ma in seguito diede anch'egli la propria adesione. Per risolvere il problema della sussistenza dei profughi nel nuovo abituro, Musolino proponeva di espropriare il latifondo che all'epoca esisteva fra Bianco e Brancaleone, dove sarebbe sorto il nuovo paese, e di distribuirlo alla popolazione che sarebbe andata ad abitarvi].
La decisione di trasferire la popolazione di Africo e Casalnuovo nella sua attuale sede presenta aspetti poco chiari; fin dall'inizio furono formulati seri dubbi circa l'opportunità di tale progetto; in particolare si opposero l'Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno e Umberto Zanotti Bianco, il quale fece osservare come gli abitanti (in prevalenza contadini), con il trasferimento, sarebbero stati spossessati della loro terra, trasferiti in un territorio carente di risorse, e sarebbero state in tal modo distrutte le basi di una vita comunitaria che gli abitanti si erano faticosamente costruiti nell'arco di molte generazioni:

«La burocrazia non ha il diritto di annullare con un tratto di penna questo lavoro secolare, con lo spedire quelle turbe disgraziate là ove la terra è posseduta da altri.»
(Umberto Zanotti Bianco)

Zanotti Bianco, d'accordo con una parte dei rifugiati, proponeva di costruire il nuovo insediamento in località Carruso, una zona pianeggiante situata nel vecchio territorio di Africo; tuttavia già nel 1953 cominciarono ad essere installati, nella suddetta località La Quercia del comune di Bianco, alcuni prefabbricati donati dalla Croce Rossa svedese, creando così una sorta di fatto compiuto; a questi primi insediamenti provvisori fece seguito la costruzione di altri 88 appartamenti nel 1954. Le obiezioni, avanzate da Zanotti Bianco e da una parte della stessa popolazione di Africo, rimasero così sostanzialmente inascoltate; nel 1958 Antonio Marando poté scrivere che con la fondazione di Africo Nuovo era sorto «il primo paese italiano senza territorio».
I primi abitanti di Africo Nuovo dovettero subito confrontarsi con una realtà economica assai difficile: la raccolta della legna e delle olive, il lavoro come affittuari di fondi agricoli o come braccianti nelle coltivazioni di gelsomino, l'apertura nel paese delle prime botteghe e dei primi negozi, poi il lavoro come operai presso l'Ente pubblico per la riforestazione, non riuscirono a risolvere in modo adeguato il problema della sussistenza materiale, cui molti ovviarono con l'emigrazione, mentre altri si ridussero a vivere di assistenza. Non fu senza aspre lotte che gli africesi riuscirono ad ottenere servizi essenziali come la stazione ferroviaria.
Gran parte della popolazione sfollata da Africo vecchio e Casalnuovo fu a lungo costretta a vivere in campi profughi; Africo Nuovo iniziò ad esistere solo all'inizio degli anni '60. Comunque, nel 1962 gran parte dei profughi del Lazzaretto era andata ad abitare nel nuovo paese; alla metà degli anni '60 data l'ultimazione di ulteriori 320 alloggi popolari nonché la costituzione ad Africo Nuovo di un'anagrafe e di un registro di stato civile comuni alle ex popolazioni di Africo vecchio e di Casalnuovo.
Di fatto, il comune di Africo Nuovo rimase fino al 1980 privo di delimitazione territoriale, mentre i suoi abitanti avevano perso la loro antica condizione sociale (di contadini poveri) senza però averne acquistata una migliore.
Già nel periodo della costruzione del nuovo abitato, infatti, aveva iniziato a consolidarsi un'economia di tipo assistenziale, dapprima con il sussidio erogato ai profughi, poi grazie ai sussidi di disoccupazione; un'altra fonte di sussistenza era costituita dalle rimesse dei lavoratori africesi emigrati; l'assistenzialismo migliorò in modo significativo il tenore di vita della popolazione, ma senza che si realizzasse alcun adeguato sviluppo della produzione agricola né di quella industriale.
Tale contesto di persistente precarietà economica condizionò pesantemente tutte le successive vicende del paese. Vi furono forti tensioni sociali, che si manifestarono in scioperi, manifestazioni di protesta, blocchi ferroviari, lotte per la democrazia e per il lavoro che videro il coinvolgimento di una larga parte della popolazione; a tali istanze le pubbliche autorità spesso faticarono a dare risposte che non fossero meramente repressive. D'altra parte, l'efficacia di tali lotte venne spesso pregiudicata da episodi riconducibili all'intervento della criminalità organizzata. A partire dagli anni Settanta, infatti, si ebbe in tutta la zona l'ascesa della 'ndrangheta con modalità particolarmente pervasive e anche violente; negli anni Ottanta il paese fu teatro di una faida sanguinosa. Più volte l'amministrazione comunale fu sciolta d'autorità e sostituita da commissari straordinari; ciò avvenne ancora una volta nel 2014.



 
 
 






























































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