lunedì 16 luglio 2018

MAGNA GRECIA: archeologia di un sapere. Catanzaro 19/06/2005 -31/10/2005

Arrivarono seguendo il volo di una colomba o il magico fragore di un cembalo. Le antiche leggende raccontano di navi, carichi di Greci, che venivano da Calcide, nell'Eubea, da Sparta, addirittura da Cuma, una lontanissima città dell'Asia Minore. Quando giungevano di fronte ai golfi, alle insenature e alle bianche spiagge della penisola italica, si fermavano: la nuova terra era raggiunta. E cosi quelle sponde e quelle terre diventarono per quegli uomini sacre e li eressero templi e città importanti, come Pithrcusa, Crotone, Siracusa. Nelle terre che erano state dei Siculi e dei popoli italicisi insediava quella civiltà, che in seguito verrà chiamata MAGNA GRECIA
In Calabria lo speldore della civiltà della Magna Grecia si manifesto in città ricche e raffinate come Crotone, che ospitava la Scuola medica di Alemeone; Sibari; Locri, le cui tradizioni mitiche e storiche apprendiamo dai ritrovamenti di tavolette votive che i Greci chiamavano pinakes. Le tirreniche Metauro, Hipponion, Reggio, Medma.








IL KOUROS DI REGGIO CALABRIA




















Paestum; tomba a cassa con copertura a doppio spiovente




































Locri Epizefiri. Trono Ludovisi

Questa celebre scultura in marmo, di fattura magno-greca e risalente ad un periodo compreso tra il 480 a.C. ed il 450 a.C., è stata indicata da molti studiosi come proveniente dalle fabbriche artigiane della polis di Locri Epizefiri, soprattutto in base a considerazioni stilistiche derivanti dalle sorprendenti analogie con i celebri pinakes Locresi.

A ciò si aggiunse, negli anni '80, uno studio di Margherita Guarducci che, oltre a confermare l'origine Locrese del manufatto, ne ipotizzò la collocazione originaria.

Secondo la studiosa, infatti, esso proviene dal tempio di Afrodite (Tempio di contrada Marasà) dell'antica polis, all'interno del quale costituiva il parapetto del bothros; considerazione, questa, avvalorata dal fatto che le dimensioni della scultura combaciano al centimetro con i tre lastroni di pietra superstiti, del rivestimento del bothros, ancora visibili nell'area archeologica del Tempio di contrada Marasà.

Un'altra ipotesi, questa volta elaborata da Giorgio Gullini, propone come collocazione originaria uno dei lati brevi dell'altare del V sec. a.C. del Santuario di contrada Marasà. Anche in questo caso, come per l'ipotesi della Guarducci, le dimensioni del trono sono compatibili con quelle del manufatto presente all'interno dell'area archeologica.



L'opera, nella sua decorazione a bassorilievo, raffigura sulla parte frontale Afrodite che nasce dalla spuma del mare (anche se qualche studioso vede in essa Persefone che risale sulla terra dal mondo degli inferi) e viene aiutata ad uscire dall'acqua da due ancelle, mentre sui lati sinistro e destro appaiono, rispettivamente, una suonatrice di flauto adagiata su un cuscino ed una donna coperta da un manto intenta a deporre l'incenso in un brucia-essenze.



ll "Trono Ludovisi" venne quasi sicuramente trafugato già in epoca romana come bottino di guerra e, da allora, se ne persero le tracce. Venne riscoperto solo nel 1887 durante i lavori di urbanizzazione della Villa Ludovisi e, da quel momento, entrò a far parte della collezione privata messa insieme dal cardinale Ludovico Ludovisi nel XVII sec. e, all'epoca, ancora appartenente ai discendenti della sua famiglia. In seguito i Ludovisi si trovarono costretti a dover vendere l'intera collezione e, nel 1901, la scultura, insieme ad altre, venne acquistata dallo Stato Italiano.





Oggi la scultura è sotto la tutela del Museo Nazionale Romano ed è visitabile, a Roma, presso Palazzo Altemps, sede nella quale è stata trasferita l'intera collezione Ludovisi.





















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