Una cultura, quella Bizantina, che ha lasciato soprattutto al Sud centinaia di tracce. Ne è testimonianza la Cattolica di Stilo.È stata definita:”mirabile fiore, sbocciato tra le rocce del Consolino mille e più anni fa”, “Sorta nella Terra santa del basilianesimo e del bizantinismo”.
La Cattolica è un tempietto greco-bizantino la cui costruzione risale al X secolo. La denominazione di Cattolica stava ad indicarne la categoria delle “chiese privilegiate” di primo grado, infatti con la nomenclatura impiegata sotto il dominio bizantino nelle province dell’Italia Meridionale la definizione di katholikì spettava solo alle chiese munite di battistero.
La storia della Cattolica è avvolta da un silenzio assoluto fino al XIV secolo, quando ne appare la prima citazione nella MEMORIA ISTORICO GEOGRAFICA del canonico Michelangelo Macrì di Siderno attestando l’uso della Chiesa a quel tempo(1).
Descritta per la prima volta nel 1840 da Schulz nel corso dei suoi viaggi in terra di Calabria(2), la Cattolica divenne così meta di viaggi per l’indagine dei monumenti in Italia Meridionale. Tuttavia un discorso più ampio però lo compì l’Orsi, autore di uno dei testi più belli sull’architettura bizantina in Calabria” Le Chiese basiliane di Calabria” (1927).
Una nuova campagna di restauri fu compiuta da Martelli tra il ’47 ed il’51 viene restituita alla Cattolica la copertura che l’Orsi aveva rimosso:” non tenendo conto dell’aspetto greco della fabbrica”(3). Una piccola chiesa bizantina a pianta centrale di forma quadrata, e si trova alle falde del monte Consolino a Stilo in provincia di Reggio Calabria.
Soggetta all’impero di Bisanzio fino all’XI secolo, la Calabria conserva oggi numerose testimonianze dell’arte orientale, la Cattolica ne è un valido esempio. Era infatti la chiesa madre tra le cinque parrocchie del paese, retta da un vicario perpetuo (succeduto al protopapa di epoca bizantina), che aveva diritto di sepoltura al suo interno.
Ne sono testimonianza i resti umani rinvenuti in un sepolcro marmoreo con un anello di valore. Tuttavia è nel 1996 che la Iannelli ha riportato alla luce nell’area antistante la chiesa reperti osteologici(4).Le facciate della chiesetta, che ha forma più o meno quadrata con il lato di circa sette metri di lunghezza, sono ricoperte da fasce di mattoni di argilla di colore rosso, interlineati nelle giunture da malta.
Sovrastano la Chiesa cinque cupole di forma cilindrica rivestite da mattonelle disposte a rombo e spezzate al centro da mattoni simili, posti a “dente di sega”, che permettono di rompere la freddezza della sottostante massa cubica. Il tetto e le cupole sono ricoperte da tegole di colore giallo rossastro mentre è da notare che un tempo le cupole erano ricoperte da lamine di piombo.
A destra della chiesa, si scorgono, le absidi, che poggiano su di una base murale in pietra; a sinistra, un muro ben delineato, quasi a protezione del tempio. La porta d’ingresso è sormontata da una architrave in legno, poggiante negli stipiti della stessa.
Di singolare importanza è la campana (di manifattura locale) del 1577, risalente all’epoca in cui la chiesa fu convertita al rito latino, che raffigura a rilievo una Madonna con Bambino e, limitata da croci, un’iscrizione: «Verbum Caro Factum Est Anno Domini MCLXXVII Mater Misericordiæ». All’interno, dal pavimento a quadretti di creta rossa, s’innalzano quattro colonne, due in cipollino, una in lunense e una in granito, che sorreggono le volte del soffitto; dividono l’interno in nove quadrati uguali, escluso l’incavo delle tre absidi.
Colonne prelevate certamente da resti architettonici dell’antica Kaulon. Nel fusto di una di esse si legge l’iscrizione in greco referente al mistero dell’Epifania: “Dio il Signore apparve a noi”.Secondo la leggenda, le colonne, provenienti dai templi romani, furono trasportate da quattro giovani donne del luogo che senza accusare il grave peso, avevano effettuato l’intero tragitto cantando.
Il tempietto ha conservato la sua struttura originaria fino agli inizi del 1900, quando P. Orsi è intervenuto con piccoli interventi di restauro. Inoltre nella Chiesetta sono presenti all’interno della Cattolica delle iscrizioni in lingua araba, una corrisponde alla shahada, ovvero alla professione di fede: «La Ila ha Illa Alla h wahdahu” ovvero: “Non c’è Dio all’infuori di Dio solo”, che presumibilmente vuol dire: “Non vi è Dio all’infuori del Dio unico», mentre un’altra recita: «Lilla hi al Hamdu”, ovvero: “A Dio la lode».
Infatti non è da escludere un eventuale uso della Cattolica come oratorio musulmano, come d’altro canto non è da escludere che le colonne possano essere state portate sul posto già incise; comunque gli Arabi, il cui scopo generalmente non era la conquista della regione ma il suo saccheggio, inspiegabilmente non distrussero la piccola chiesa bizantina, ma decisero di innalzarla a propria sede di culto e di preghiera, forse perché attratti dalla sua bellezza, e dal suo particolare posizionamento.
Le pitture, invece che dovevano coprire tutta la Chiesa sono palinsesti, non ricoprono le pareti ma sono distribuiti in essi, il dipinto di Massimo il Confessore fu voluta dal patriarca Germano I di Costantinopoli(5).
Offre così al visitatore uno spiraglio della Redenzione, viene a porsi al centro, mentre da un lato spicca la pseudo immagine della Santissima nel catino dall’altro invece la scena della Crocifissione.
Nella prima fase pittorica X secolo, si riscontra altra figura nella prothesis ritrae una figura maschile, un santo martire(6), la figura del santo militare?, posizionata in basso è probabilmente una donna come denunciano molti studiosi ricorda molto Sant’Agnese o Caterina D’Alessandria figura venerata in tutto il Mezzogiorno.
Tuttavia è importante ricordare che alla fase pittorica vennero assoldate maestranze italo-greche come il caso dell’Annunciazione da cui si scorge solo un tratto rosato che ritraeva l’incarnato della Vergine mentre non possiamo stabilire se la Vergine fosse stante o adagiata sul trono(7). Sembra lecita datarla nel XII secolo ma al centro di una vexata questio risulta essere molto danneggiata (8).
I colori però risultano molto attraenti, una combinazione di tenui tinte fa il resto, le pennellate larghe tipiche del XII SECOLO. La situazione cambia nel XIII secolo, con l’Arcangelo Gabriele, le labili tracce rimaste non trovano riscontri nella produzione pittorica locale e di tutto il Mezzogiorno.
La parete a Nord ha riportato alla luce diversi brani di affresco e al centro numerosi dibattiti iconografici(9). Si notano così due figure di apostoli, in una si scorge San Bartolomeo nonostante non abbia capelli e barba scuri, il secondo invece incarna S. Paolo anche se di lui resta un mezzo busto (10).
Gli influssi e gli adattamenti locali hanno permesso alla Calabria ed a questo:” redimito nido che i sogni di Bisanzio pone”qual’è la Cattolica di toccare con mano quanto gravitava in tutto il Regno.
Il Castello ha torri triangolari eccetto quelle che circondano il forte che hanno una forma circolare e sono provviste di feritoie. Una torre si chiama Altavilla.
La zona centrale del castello era una chiesa-cappella con un altare principale e 4 altari adiacenti ai muri del locale.
La raccolta di acqua piovana avveniva con tubi di coccio e tegole affrontate e con una cisterna posizionata al di sotto dell'edificio centrale.
La prima attestazione della presenza del Castello Normanno a Stilo è fatta il 7 maggio del 1093 in una concessione del Conte Ruggero nei confronti di San Bruno: "elegerunt itaque quondam solitudinis locum inter locum qui dicitur Arena et oppidum quod appelatur Stilum.
Nel XIII secolo il Castello di Stilo era uno dei diciassette castelli calabresi amministrati della Reale Curia nel regno di Carlo I d'Angiò ed era anche utilizzato come prigione.
Sempre nello stesso periodo dovette subire una serie di riparazioni come documentato dal folio 233 dell'Archivio della Regia Zecca del 1281
Nel Registro Regio del 14 aprile 1323 è scritto che il Duca di Calabria, figlio del Re Roberto concesse al Nobile, Contestabile, Barone di Settingiano Marco la Castellania di Stilo e che a lungo fu retta dalla sua discendenza[.
Nel XVI secolo fu attaccato dal Preside della Provincia con 4000 pedoni e 2000 cavalieri e tenuto sotto assedio per tre mesi per concederlo al Duca D'Arena come racconta l'erudito Vito Capialbi.
Nel 1677 Padre Apollinare Agresta nella sua opera La vita di San Giovanni Theresti lo descrive così: "
La città, oltre d'esser già forte, e munita di difese, e di difenditori, era anche resa inespugnabile dal castello, che torreggiava su la cima di detto monte, che con la sua superiorità la signoreggiava, e teneva sicura da qualunque hoste ben numerosa: anzi per essere questo Castello assai forte sopra tutti gli altri della provincia, era in quei tempi preggiatissimo a' Re e godeva alcune prerogative e fra l'altre che molti Baroni e feudatari, fossero obligati alle di lui reparazioni".
Il castello è menzionato nel XVII secolo da Giovanni Fiore da Cropani in Della Calabria illustrata[.
Nel XVIII secolo con il Regno di Napoli a governo del castello vi era un castellano nominato direttamente dal re che era al comando della guarnigione di difesa e veniva pagato due tarì al giorno.
Nel XIX secolo il Castello versa in stato di abbandono e Crea lo descrive così:
"Qua i muri sono di sole pietre alzate, e queste pietre mezzanamente grosse sono della stessa roccia calcarea sulla quale le torri si sollevano. Non hanno volte, o divisioni di piani diversi. Vari buchi interni e laterali vi annunziano la possibilità di formare, nel bisogno, e per comodo di difensori che la custodivano, strati provvisori di legnami: e le saettìere e i gittatoi che si veggono aperti all'altezza corrispondente sopra tali strati avvalorano l'idea concepita. Non porte non finestre ad alcun lato, queste torri restano scoperte ed alla sommità di esse, in giro, si vede qualche merlo in forma di cono della fabbrica stessa dell'edifizio principale. Dal lato di occidente questa ha una sola apertura che comunica col rimanente del monte sino al suo vertice.".
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